INQUINAMENTO, ’AUTOSTRADA’ PER LA DIFFUSIONE DEL COVID IN PIANURA PADANA
Le conclusioni dello Studio SIMA sul British Medical Journal Open
di Prisco Piscitelli
Epidemiologo, vicepresidente nazionale SIMA (Società Italiana di Medicina Ambientale)
Dopo sei mesi e due lunghi round di revisioni da parte di esperti internazionali, a fine settembre 2020 è giunto a pubblicazione sulla rivista open-access BMJ Opendel British Medical Journalil Position Paper il Position Paper reso noto dalla Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA) il 17 Marzo sul rapporto tra inquinamento atmosferico e rapida diffusione del COVID-19 in Pianura Padana. Il lavoro è frutto di una collaborazione di SIMA con ricercatori delle Università di Bologna, Bari e Trieste. La pubblicazione è disponibile al seguente link: https://bmjopen.bmj.com/content/10/9/e039338 (con ampia bibliografia).
Si tratta della quarta pubblicazione prodotta da SIMA dal mese di aprile, quando ci siamo sentiti in dovere come Società Scientifica di avvertire i decisori politici, nel pieno dell’emergenza COVID, che la distanza di sicurezza di 2 metri (ridotta a 1 metro per gli ambienti indoor in molti Paesi, ma recentemente riconosciuta come insufficiente dal Centre for Disease Control di Atlanta) non fosse sufficiente a garantire la sicurezza e che era necessario obbligare all’uso della mascherina tutti i cittadini in ogni luogo aperto al pubblico in un momento in cui si stava ancora discutendo dell’efficacia dei dispositivi di protezione individuale.È per questo motivo che SIMA ha ritenuto proprio dovere etico e morale rendere noti immediatamente i risultati delle prime evidenze sul riscontro del coronavirus SARS-COV-2 sul PM10 di Bergamo, poi pubblicato a fine maggio su Environmental Research(evidenza che non riguarda tuttavia il potenziale infettivo del virus sul particolato ma ottenuta in parallelo nei laboratori di genetica dell’Università e dell’Azienda ospedaliera di Trieste utilizzando ben 3 geni markers), senza aspettare che tutti gli articoli sottomessi a diverse riviste scientifiche internazionali arrivassero a pubblicazione dopo i necessari tempi tecnici. Anche la Harvard School of Public Health si era peraltro comportato allo stesso modo rendendo pubblico lo studio epidemiologico che ha dimostrato un legame tra mortalità per COVID e inquinamento atmosferico negli USA, nel mentre altri ricercatori italiani guidati dal famoso economista Leonardo Becchetti realizzavano modellistiche sul ruolo delle polveri sottili e la diffusione del COVID-19, che risultava meno impattante nelle cosiddette “aree parco” sul territorio nazionale.
È stato evidenziato che durante l’inverno, in Pianura Padana, è possibile riscontrare anche per diversi giorni consecutivi più di 150.000 particelle per centimetro cubo, con un impatto sulla salute – anche in termini di mortalità evitabile (con almeno 75.000 morti premature annue) – oramai acclarato dai rapporti annuali dell’Agenzia Europea per l’Ambiente ma che finora non ha particolarmente scosso il mondo scientifico e istituzionale. La Pianura Padana in inverno potrebbe essere anche assimilata, esemplificativamente, ad un ambiente indoor con il soffitto di qualche decina di metri, dove in presenza di una grande circolazione virale le condizioni di stabilità atmosferica, il tasso di umidità e la scarsa ventilazione hanno di fatto aperto al Coronavirus delle vere e proprie ‘autostrade’.
Lo studio SIMA (che non ha beneficiato di fondi dedicati) ha analizzato il numero di sforamenti per il PM10 sopra i 50 µg/m3 per tutte le Province italiane, considerando il numero di centraline installate, la numerosità e densità della popolazione, oltre al numero medio di pendolari giornalieri e turisti. Il periodo esaminato andava dal 9 al 29 febbraio, in modo da tener conto dei 14 giorni di massima incubazione del virus e quindi degli effetti prodotti nelle prime due settimane di ondata epidemica in Italia (24 febbraio-13 marzo). Su un totale di 41 Province del Nord Italia, ben 39 si collocavano nella categoria di massima frequenza di sforamenti, mentre 62 Province meridionali su 66 si situavano ai livelli più bassi di inquinamento atmosferico. L’andamento degli sforamenti di PM 2.5 era pressoché sovrapponibile. L’effetto osservato era indipendente sia dalla numerosità che dalla densità di popolazione. Complessivamente, gli sforamenti di PM10 si rivelavano un significativo fattore predittivo di infezione da COVID-19, potendo spiegare la diversa velocità di propagazione del virus nelle 110 Province italiane.
Sono quasi 200 i lavori scientifici che hanno citato gli studi SIMA, tra cui quello a firma del premio Nobel J. Molina e tutti vanno nella direzione di confermare le ipotesi di ricerca mettendo in evidenza fenomeni di iperdiffusione (“superspread”) del virus in vari Paesi del mondo. È importante sapere che queste accelerazioni della diffusione del coronavirus vengono osservate quando le sorgenti naturali o le attività antropiche, legate al traffico e al riscaldamento domestico, così come le condizioni atmosferiche che riscontriamo tra gennaio e febbraio, portano a sforamenti ripetuti delle PM2,5 e PM10. In particolare, gli indici R0 passano da 2 a oltre 4 se gli sforamenti superano i 3-4 giorni consecutivi. Ovviamente, perché l’inquinamento possa agire da facilitatore della diffusione virale è necessario che si sia in presenza di una ampia circolazione del coronavirus tra le persone essendo il contagio inter-umano la modalità principale di contagio, su cui si fondano le attuali criticità di progressione dell’epidemia nelle diverse aree italiane a più elevata densità abitativa. L’ampia circolazione del virus tra le persone, deve tuttavia metterci in allerta in previsione dell’inverno, allorquando inevitabilmente in Pianura padana e nelle grandi città saliranno le concentrazioni di polveri sottili a causa dei riscaldamenti, con possibilità di ristagno dovuto alle condizioni climatiche.
Il razionale per l’ipotesi di ricerca SIMA è ben fondato su molti studi che hanno già documentato l’adesione di altri virus (quello influenzale stagionale, dell’influenza aviaria e del morbillo, per citarne alcuni) al particolato atmosferico.Al contempo sono già disponibili studi di riscontro del coronavirus nell’aria di ospedali cinesi o esperimenti che documentano la capacità di sopravvivenza nell’aria. Certo, è di base dannoso per la salute avere zone del Paese in cui le concentrazioni medie annuali di PM10 e PM2.5 sono molto spesso al di sopra dei limiti definiti come protettivi per la salute dall’OMS già nel 2005 (limiti che sono la metà di quelli definiti dalla legge e che rappresentano il riferimento normativo per le ARPA e per i provvedimenti di limitazione del traffico o del riscaldamento urbano). Elevate concentrazioni di polveri sottili, specie in determinate condizioni climatiche, rappresentano già di per sé un vulnus alla salute che predispone anziani e soggetti fragili a una maggiore suscettibilità ad infezioni e complicanze. Si tratta di dati già noti, per quanto scarsamente percepiti nell’opinione pubblica, se si pensa che l’Agenzia Europea per l’Ambiente (come detto) stima circa 75.000 morti ogni anno per cause legate all’inquinamento atmosferico. Ciò conferma la necessità di una lettura sanitaria del dato ambientale (come recentemente ribadito in un editoriale pubblicato su International Journal of Environmental Research and Public Health). Su questo tema, sulla spinta dell’epidemiologica del COVID-19, si stanno finalmente muovendo le istituzioni (come ISPRA, il sistema delle ARPA, l’ISS ed ENEA) stanziando fondi dedicati ad approfondire – col progetto PULVIRUS – gli effetti dannosi già noti dell’inquinamento atmosferico come l’aumentata morbilità e mortalità, nonché le potenziali specificità legate al COVID. La speranza è che le istituzioni preposte e adeguatamente attrezzate possano, durante il prossimo inverno, verificare anche l’eventualità che il coronavirus possa sopravvivere almeno qualche secondo sul particolato atmosferico e studiarne il potenziale infettivo.
Nel ribadire che l’inquinamento atmosferico si rivela ancora una volta fonte di gravi danni alla salute, vogliamo tuttavia sottolineare che le evidenze prodotte da SIMA non devono spaventare gli attori del mondo del lavoro e le imprese, ma stimolarli auna ripartenza verde che coniughi il giusto progresso economico con la sostenibilità ambientale necessaria alla tutela della salute umana.L’abbandono dei combustibili fossili con una rapida transizione energetica ed ecologica è prospettiva oramai inevitabile per evitare il rapido collasso degli ecosistemi dalle conseguenze imprevedibili e offrirà nuove opportunità economiche, con condizioni di lavoro in grado di servirsi al meglio delle nuove tecnologie. Anche alla luce di queste evidenze, il Recovery Fund deve essere occasione ineludibile per investire non più su azioni accessorie ma soprattutto su progettualità concrete che possano ridurre nel breve/medio periodo l’impatto dell’uomo sull’ambiente. Sarebbe auspicabile che le Amministrazioni pubbliche facessero monitorare l’andamento delle polveri sottili e verificare periodicamente la presenza del virus, al fine di anticipare e scongiurare nuovi fenomeni di ‘superspread’ come quelli verificatisi nel Nord Italia. In tal modo, nel caso in cui fossero previsti sforamenti delle polveri sottili ripetuti nel tempo, si potrebbero adottare misure preventive come il blocco del traffico, la limitazione dell’uso delle caldaie e l’aumento del distanziamento inter-personale.